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I Film

Noi credevamo
di Mario Martone, con Luigi Lo Cascio, Valerio Binasco, Francesca Inaudi, Toni Servillo, Luca Barbareschi
uscita in Italia: 12 novembre


Mai fidarsi del gusto degli altri, mai. Ero al festival di Venezia e avevo preferito a quest’ultimo film di Mario Martone un altro che davano in contemporanea, credendo nei colleghi che avevano detto “è sconclusionato”, “ha imprecisioni storiche”, “ha dei disequilibri interni”. Tutto probabilmente vero, per carità, anche alla luce del fatto che questa versione, rispetto a quella festivaliera, è stata rimontata, e sfrondata in alcune sue parti ridondanti: ma quando qualche giorno fa l’ho visto nella proiezione per la stampa romana, ho pensato per tutto il tempo a certi piatti di Don Alfonso che, proprio grazie ad alcuni (leggerissimi) squilibri gustativi, risultano alla fin fine pieni di carattere, e dunque eccellenti; e poi al mio rosso preferito, che di nome fa Barbaresco, che – se vinificato nel rispetto della tradizione, cioè con poco legno – è grandissimo proprio grazie ai suoi spigoli tannici e di acidità, che lo rendono (regalmente) scorbutico, un po’ come i contadini della Langa.
Ma che racconta, “Noi credevamo”? La storia dell’Unità d’Italia, dal Risorgimento fino a Garibaldi. Le ellissi temporali sono fisiologicamente molte, causa l’ampio periodo storico ricompreso, e sono acuite dal fatto che i protagonisti maschili sono inventati, pur ispirandosi alle figure di due cospiratori di quel periodo. Soprattutto, la sensazione di confusione e non equilibrio è proprio il pregio del film, che intende appunto raccontare – vagamente sulla falsa riga di quanto già fece “Gangs of New York”, di Martin Scorsese, rispetto a quella città – le origini litigiose, e violente, e poco chiare, e per nulla unitarie, e anche poco democratiche, dell’Italia. Tutte caratteristiche che in qualche modo riescono a darci ragione dell’oggi, che viviamo e “ben” conosciamo.
L’avevo detto la settimana scorsa, parlando di “Potiche”: l’equilibrio è un obiettivo o un limite? Dipende dai gusti. Ecco, dunque: io trovo affascinante lo squilibrio complessivo di questo film di Martone, nonostante le inquadrature – un po’ troppo chiuse, anche per un film nato per andare in onda sul piccolo schermo – qua e là appiattiscano le tracce di surreale follia insite nella storia del nostro paese.

Marco Lombardi


Potiche