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I Film

La banda dei Babbi Natale
di Paolo Genovese, con Aldo Baglio, Giovanni Storti, Giacomo Poretti, Angela Finocchiaro, Cochi Ponzoni, Giorgio Colangeli, Mara Maionchi e Antonia Liskova
uscita in Italia: 17 dicembre


A volte gli chef sono ingombranti, come pure gli enologi, quando finiscono per imporre il proprio narcisismo sui piatti e sui vini. Lo stesso capita con gli attori, quando il loro carisma, e la loro impronta, sono così forti da mettere a rischio la storia, cannibalizzandola. Però – lo insegnano le scuole di cinema – quando la sceneggiatura c’è, ed è pensata anche in relazione ai loro interpreti, la strada per l’armonia è più percorribile, fino alla possibilità di realizzare un film compiuto e compatto, anche se costruito a tavolino. È così che quest’ultimo lavoro di Aldo-Giovanni-Giacomo, nonostante sia stato costruito proprio come il classico film di Natale, quindi con un occhio – anzi, due – al botteghino, è una bellissima commedia, con i loro personaggi – meglio: le rispettive tipologie comiche del trio – che s’integrano perfettamente con gli altri personaggi, dalla Finocchiaro fino al – piacevolmente! – redivivo Cochi Ponzoni, passando per l’”X Factor” Mara Maionchi, incredibilmente a suo agio davanti alla macchina da presa, nonostante qualche volta risulti chiaro che le scappava da ridere. La storia è presto detta: i nostri eroi sono colti, vestiti da Babbi Natale, ad arrampicarsi su per i cornicioni di una casa, e la polizia, che stava appunto cercando la banda dei Babbi Natale, non può fare altro che arrestarli. Ma sarà tutto come sembra? Nella lunga notte della vigilia di Natale che i tre passeranno con l’agente Finocchiaro, che frigge dal bisogno di tornare a casa coi suoi, i colpi di scena saranno parecchi. A partire dal fatto che loro tre sono dei giocatori di bowling che arrivano sempre secondi…
“La banda dei Babbi Natale” è allo stesso tempo – come capita alle migliori commedie comiche – un film immediato e complesso, nel suo essere ricco di citazioni “colte” e note graffianti – cioè politicamente scorrette – nei confronti dei bambini e degli animali, e questo grazie alla chiave dell’ironia. Perciò mi sembra possa corrispondere ad un Riesling renano, che si caratterizza appunto per essere piacevole e strutturato allo stesso tempo, supportato com’è dalla sua grande aromaticità, che dà piacevolezza e grande bevibilità, e dalla mineralità e dall’acidità, che invece danno delle notevoli punte di complessità. Non solo: l’aromaticità (che nel film è rappresentata dalla risata) da l’illusione della dolcezza, quando invece il livello zuccherino di molti Riesling è assai basso (come nel film, dove – attraverso la risata – si fa anche satira sociale: sul lavoro, sul potere, sulla vita di coppia, ecc.). Date queste premesse, il piatto potrebbe essere uno della tradizione, ma di quelli composti di materie prime “serie” e ricchissime di profumi e sapori. Mi viene in mente uno degli ultimi assaggiati da “Iotto”, un’eccellente trattoria di Campagnano di Roma, “l’acqua cotta”, che si declina in vari modi a seconda della stagione, cioè a seconda di quello che c’era nelle cucine contadine (povere) d’un tempo. Ora è il turno della cicoria, del pane e dell’olio: il risultato finale, a conoscere gli ingredienti, sembrerebbe popolare, ai limiti del banale. Invece, anche se l’approccio a questa idea di zuppa lo è, dietro si dispiega tutta la complessità di un olio nuovo (della Sabina), di un pane casereccio (fatto col lievito madre), di una cicoria curata nel campo come se fosse un figlio…

Marco Lombardi


Potiche