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I Film

Gianni e le donne
di e con Gianni Di Gregorio, Alfonso Santagata, Valeria De Franciscis
uscita in Italia: 11 febbraio 2011


Era uno degli sceneggiatori di “Gomorra”, fin quando –proprio con l’aiuto del regista Matteo Garrone – aveva provato a trasformare in film la sceneggiatura che da anni (molti) teneva chiusa nel cassetto. S’intitolava “Pranzo di ferragosto”, e il successo incredibile avuto al festival di Venezia prima, e in sala poi, ha indotto il suo autore, Gianni Di Gregorio, a cimentarsi con l’opera seconda. Quella che, da sempre, dicono essere più difficile della prima: perché se è facile (si fa per dire) incuriosire gli altri con qualcosa di nuovo, assai più difficile è “confermarsi”.
Ho visto “Gianni e le donne” con questo spirito, nella quasi certezza di non ritrovarvi la stessa freschezza, e la stessa croccantezza, di “Pranzo di ferragosto. In effetti c’avevo visto bene: quest’opera seconda, infatti, è addirittura meglio della prima, nel senso che quello stesso tipo di sensazioni emergono più strutturate, ed equilibrate, come un grande rosso (anzi, un grande bianco, dato l’amore del regista per i bianchi) che è bene invecchiato.
La storia – nuovamente autobiografica, e nuovamente un po’ misogina – è quella di un uomo vittima della madre/della moglie/della figlia che a un certo punto, spinto dall’amico e dal vedere l’anziano vicino di casa che miete conquiste in tutazza e scarpe da ginnastica, si “piega” all’idea di farsi un amante. Ma nessuno può essere ciò che non è, e così i conseguenti tentativi – oltre a risultare posticci – generano situazioni buffe, inconcludenti e persino un po’ sfigate che peraltro Gianni De Gregorio tratteggia con la dolce leggerezza dello zucchero filato, cioè della piuma di Forrest Gump. Così che “Gianni e le donne” fa pensare un po’ a Jacques Tati, un po’ a Monicelli e un po’ a Buster Keaton senza mai essere ciascuno di questi.
Il risultato di tanto cucinare filmico è un piatto di origine romana, proprio come il trasteverino Gianni Di Gregorio: le puntarelle con le alici. Loro sono appunto fresche e croccanti, hanno un colore chiaro che sa di primavera e di cose vive e vitali, ma alle spalle hanno quelle alici che ogni tanto, birichine, s’inseriscono con le loro morbide spine, e le loro punte di salato, a ricordarci (ironicamente, e piacevolmente) che senza un po’ di dolore non ci sarebbe (forse) la gioia.

Marco Lombardi


Potiche