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I Film

CANNES 2013: La Grande Bellezza
di Paolo Sorrentino, con Tony Servillo, Carlo Verdone, Sabrina Ferilli

Quanta attesa c’era su questo film, quanta. Come da copione, alla fine ci sono stati i delusi e gli entusiasti: i primi piu’ in Italia, i secondi piu’ all’estero, ma tutti a partire dalla considerazione che questo ultimo film di Paolo Sorrentino partirebbe dalla decandenza della Roma de “La dolce vita” (pure del film “Roma”, sempre di Federico Fellini) che molti colleghi italiani hanno visto come “copiata”, se non addirittura “tradita”, mentre quelli stranieri come arricchita in direzione di una post-decadenza trash che paradossalmente conterrebbe in se’ il germe della rinascita. Perche’ Jep Gambardella, lo scrittore protagonista, comincia come un alienato (dal proprio talento, dalla propria sensibilita’, dal proprio tempo) per poi riavvicinarsi – attraverso la memoria del “bello” – alla vita. Ma solo lui potra’ (forse) farcela, perche’ gli altri (Carlo Verdone su tutti) verranno triturati dalla seducente vacuita’ della romanita’, compresi coloro che parrebbero dominarla con l’illusione (chimica) dell’eterna giovinezza (Sabrina Ferilli).

Anche il montaggio a singhiozzo, che in parte riprende la frammentazione narrativa de “La dolce vita”, comunica l’idea di una citta’ cosi’ ricca e cosi’ dispersa e cosi’ attenta alla propria imagine da essere alla fine immensamente povera e imensamente morta. Come Roma anche il film e’ composto di input sensoriali antitetici: nei sapori (dal dolce all’amaro), nei profumi (dal fruttato all’animale) e nelle consistenze (dal duro al mórbido), e questo grazie a una fotografia (di Luca Bigazzi) particolarmente ispirata, e non sterilmente autocompiaciuta. Il tutto e’ condito dal disincanto ironico e nichilista di Jep, la cui crocante napoletaneita’ sembrerebbe l’unico antidoto al disastro. Ecco allora servito un fritto misto alla piemontese che unisce cose diversissime (dalla cervella al semolino alla mela alla carne di maiale all’amaretto alle zucchine ai fiori di zucca) che solo un’impanatura croccante (che un po’ suggerisce quello che sta sotto, un po’ lo nasconde) puo’ – ironicamente, e tragicamente – mettere insieme.

Marco Lombardi


Potiche